"NON SONO UN OGGETTO"

Troppe volte li abbiamo visti sulle strade: disidratati, stremati dalla febbre o immobilizzati da chissà quale “bomba” tranquillante. Sono gli animali, di solito cuccioli di cane, sfruttati da individui o organizzazioni senza scrupoli per suscitare compassione e raccogliere denaro con una delle forme più odiose di accattonaggio.

Contro questa pratica, nei giorni scorsi, ho lanciato da Milano una campagna dal titolo eloquente: “Non sono un oggetto da sfruttare”, dice, sul manifesto, il cagnolino accasciato davanti al piatto della questua. Lo ricorda soprattutto agli amministratori delle città italiane, grandi e piccole, dove lo sfruttamento connesso all’accattonaggio è ampiamente tollerato. Quello dei bambini o ragazzi minori di 14 anni o di persone comunque non imputabili, che (troppi lo ignorano) è un reato punito dal nostro codice penale con la reclusione fino a tre anni, o quello degli animali, che i regolamenti comunali puniscono solo a determinate condizioni e raramente prevedendo il sequestro amministrativo degli animali utilizzati come “esca” della pietà.

Se si bada bene alla sostanza, cioè lo sfruttamento, non è difficile distinguere tra il “professionista” dell’accattonaggio, che approfitta dei più deboli per trarne un vantaggio economico, e la persona, alla quale l’indigenza o la condizione di “senza fissa dimora” non impediscono di accudire con amore i propri animali. Troppo a lungo i primi si sono fatti scudo dei secondi, è ora di smetterla con certi brutti spettacoli.

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