GREEN HILL, MOTIVAZIONI SENTENZA: NO A "ZONE FRANCHE" PER VIVISETTORI

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Lav: il rispetto dell’etologia animale precede i soldi

Sessantotto pagine di motivazioni, depositate oggi dal Tribunale di Brescia, definiscono la responsabilità penale della dirigenza di Green Hill – l’allevamento bresciano di cani beagle destinati alla sperimentazione, di proprietà della multinazionale americana Marshall – rispetto alle accuse di maltrattamento di tremila cani e di uccisione non dettata da necessità di 44 beagle. Il 23 gennaio scorso,tre dei quattro imputati sono stati condannati dal giudice Roberto Gurini a 4 anni di reclusione in tutto per i reati di maltrattamento e uccisione di animali: Renzo Graziosi, veterinario dell’allevamento e Ghislane Rondot, co-gestore di “Green Hill 2001” sono stati entrambi condannati a 1 anno e 6 mesi, Roberto Bravi, direttore dell’allevamento è stato condannato a un anno di reclusione e al risarcimento delle spese. Prevista anche la sospensione dalle attività professionale di allevamento per due anni e la confisca dei cani.

Tra gli aspetti più rilevanti della motivazione della sentenza, la Lav sottolinea questi elementi:
· più volte il giudice Gurini definisce i testi e le prove della difesa “inattendibili”, “non convincenti”, “smentite”.
· Le cure per i beagle erano “inadeguate, siccome non tempestive, inefficaci e di breve durata”.
· Le soppressioni “appaiono davvero arbitrarie e prive di valida giustificazione”, “erano la prassi”.
· “Le prove dimostrano con assoluta certezza il non uso del preanestetico per disposizione della stessa Marshall”.
· La non apposizione dei microchip e la marchiatura con tatuaggio viene definita dal Giudice “più vetusta e dolorosa pratica” e quindi un maltrattamento.
· “L’attività di sorveglianza era oltremodo discontinua e inadeguata”.
· “Le argomentazioni e le prove del PM sono finanche sovrabbondanti”.
· Dopo il sequestro, in riferimento ai cani dati in custodia giudiziaria, il Giudice afferma che si è registrata una “netta riduzione di mortalità conseguente all’impegno congiunto di veterinari e associazioni intervenute in loco”.
· Riguardo all’Asl: il Giudice definisce “inaffidabili gli accertamenti dei veterinari pubblici e i relativi 67 sopralluoghi”.
· “Gli accertamenti svolti dal Dott. Silini (Asl) sono certamente da escludere tra le fonti degne di credibilità”.
· Riguardo alla dott.ssa Giachini (Asl) “le confidenze tra lei ed i vertici di Green Hill pongono in serio dubbio le sue dichiarazioni” e “gli esiti degli accertamenti da lei svolti sono minati (ancora una volta) da un grave difetto: i sopralluoghi erano preannunciati a Green Hill anche se in taluni casi eseguiti da organi terzi”.

“Scellerata gestione dell’azienda”
L’avvocatessa Carla Campanaro, responsabile dell’ufficio legale della Lega antivivisezione, ha dichiarato: “Le motivazioni della sentenza certificano in modo inequivocabile la non credibilità delle versioni fornite dai medici veterinari Asl che sino a quel momento avevano controllato la struttura, in quanto è emersa una realtà del tutto diversa, grazie all’accertamento del Corpo forestale dello Stato e di medici veterinari terzi e non presenti sul territorio di Brescia”. Continua il legale: “Questa sentenza è la dimostrazione di come il maltrattamento, inteso come deprivazione dell’etologia animale, sia penalmente rilevante anche in settori considerati intoccabili fino a ieri come quello della vivisezione. In altri termini, non ci sono ‘zone franche’ per il rispetto dell’etologia animale, neppure in ambiti come la sperimentazione e l’allevamento, né interessi economici che siano in qualche modo legittimati a creare eto-anomalie”. Campanero insiste: “In particolare, sotto questo aspetto, si tratta senza dubbio di una sentenza innovativa, coraggiosa e storica per i diritti degli animali, incentrata da parte della Procura di Brescia sulla necessità del rispetto della legalità nell’ambito della sperimentazione animale, ambito che da sempre si ritiene intoccabile, proprio perché operante in un settore ritenuto ‘superiore’ e dunque privo di vincoli, anche grazie alla superficialità dei controlli pubblici svolti”. “Infatti, sono descritte nel dettaglio le eto-anomalie causate dalla scellerata gestione dell’azienda che – ricordiamo – aveva un solo medico veterinario per circa 3000 cani e dalle ore 18 alle 7 del mattino i beagle erano letteralmente abbandonati a loro stessi, anche se malati”. “Plurime le anomalie riscontrate nell’allevamento: le temperature riscontrate erano ‘ben oltre quelle indicate nel decreto legislativo 116/92’, l’areazione inadeguata, la struttura sovraffollata, mancavano all’interno dei box aree di isolamento per garantire il riposo dei cani, la lettiera per dimensioni e qualità (polverosa) costituiva un ‘serio problema’ perché ingerita da cuccioli e causa ‘molto diffusa’ di morte specie tra i cuccioli”, aggiunge Campanero. Che conclude: “Esplicitamente il giudice afferma che ‘reputa sussistente il nesso di causalità diretta tra il considerevole numero di decessi e l’attività di sorveglianza oltremodo discontinua e con assistenza inadeguata’. In conclusione, 2639 cani erano detenuti in ambiente inadeguato ad esprimere i comportamenti propri della loro specie, attraverso una serie di eto-anomalie riscontrate (freezing, paura, ansia, stereotipie, comportamenti ridiretti)”.

Enpa: “Non c’è una ‘terra di nessuno’ nel nostro ordinamento”
“Le motivazioni delle sentenza Green Hill confermano pienamente l’accoglimento del quadro accusatorio ipotizzato dalle associazioni. Vi è dunque il riconoscimento, come si legge nella sentenza, che le eto-anomalie rilevati sui cani presenti all’interno della struttura, sono conseguenza diretta ed immediata delle condizioni ambientali e gestionali del sito, e sono da imputare alle plurime, gravissime violazioni delle prescrizioni contenute nel decreto legislativo 116/92 relativo alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali”. Lo dichiara l’Enpa. Che prosegue: “La gravità della condotta posta in essere dagli imputati emerge con forza da un particolare tutt’altro che secondario – prosegue l’Enpa – vale a dire dalla decisione del giudice di non riconoscere le attenuanti generiche ai condannati, benché essi fossero incensurati”.
Secondo la Protezione animali, ancora, la sentenza del processo Green Hill ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento, già espresso numerose volte dalla Corte di Cassazione: chiunque esercita un’attività in forza di un’autorizzazione deve restare, sempre e comunque, nei limiti di quanto autorizzato, a prescindere dal tipo di attività svolta; diversamente si viene a configurare una ipotesi di reato. Nessuno può quindi sentirsi legittimato a pensare che nel nostro ordinamento esista una “terra di nessuno” nella quale i reati contro altri esseri senzienti restano impuniti soltanto perché gli animali vengono impiegati in determinate attività quali – in questo caso – quelle di sperimentazione.

Tag: animali, maltrattamenti, sperimentazione, vivisezione
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