UN PIANETA AL MACELLO: ECCO I COSTI REALI DEL CICLO DI PRODUZIONE DELLA CARNE

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“Un sistema inefficiente che trasforma una moltitudine di alimenti a base vegetale in una quantità estremamente limitata di alimenti di origine animale”. In questa definizione c’è la sintesi del rapporto della LAV “I costi reali del ciclo di produzione della carne”, a cura di Gaia Angelini: 62 pagine dettagliate e documentate che dimostrano soprattutto una cosa: al macello, insieme con gli animali che mangiamo, va tutto il pianeta.

Secondo il rapporto, consegnato al ministro dell’Ambiente Clini, il prezzo della carne al consumo non riflette il prezzo reale del prodotto che è artificialmente ridotto perché sostenuto dai sussidi della PAC (Politica agricola comune). In realtà i costi indiretti legati al ‘prodotto carne’ si riversano sulla collettività, rendendolo probabilmente il prodotto agro-alimentare più caro al mondo. Infatti il ciclo di produzione della carne contribuisce in modo rilevante all’emissione di gas serra e lo studio ne rileva puntualmente l’insostenibilità economica, sanitaria, ambientale ed etica. Tale insostenibilità non può essere corretta ricorrendo a delle soluzioni tecniche o tecnologiche perché esse sono inefficienti, molto costose e difficilmente applicabili ed esportabili a livello globale. Esiste invece già una soluzione semplice, accessibile e poco costosa: la promozione del consumo di proteine vegetali invece di quelle animali.
Si è calcolato, ad esempio, che per produrre 1 chilo di carne di manzo sono necessari 10 chili di mangimi e 15.500 litri di acqua e che il ciclo produttivo di 1 chilo di manzo produce tanta CO2 quanto un’automobile che percorre 250 chilometri (una distanza pari circa a quella tra Roma e Firenze). I 2/3 dell’energia consumata nel processo è assorbita dalla produzione e dal trasporto dei mangimi per animali.
Questa realtà non è immediatamente percepibile, perché il business della produzione animale in Europa è un mercato drogato da sussidi perversi, diretti e indiretti, che generano impatti negativi e costi addizionali per la collettività. Paradossalmente le produzioni proteiche vegetali sostenibili per consumo umano non beneficiano affatto delle stesse sovvenzioni della carne, nonostante il loro impatto sull’ambiente sia minimo e la loro resa produttiva maggiore.
Una politica nuova e diversa è possibile ed auspicabile, ma deve partire da una profonda revisione dei modelli alimentari oggi dominanti, orientati non in funzione delle esigenze nutrizionali della popolazione ma dei programmi di produzione industriale. Secondo la LAV, è necessario adottare politiche di sostituzione della produzione di proteine animali verso le proteine vegetali e l’eliminazione, lungo tutta la filiera zootecnica, di sussidi che hanno determinato danni ambientali, economici e sanitari. Tra le principali raccomandazioni che il legislatore nazionale e comunitario dovrebbero fare proprie in una prospettiva di modello alimentare sostenibile e per rispettare gli impegni di riduzione dell’impatto ambientale, già assunti nei negoziati internazionali sul clima: abolire gli allevamenti intensivi fondati su processi di tipo industriale nei quali gli animali sono equiparati a prodotti inanimati; abolire i sussidi che incentivano la produzione di carne, incentivare la produzione di proteine vegetali per il consumo umano anziché per i mangimi; promuovere, tramite la riforma della PAC, la produzione e il consumo di proteine vegetali; dedicare alle proteine vegetali una linea di finanziamento nel quadro finanziario della PAC; effettuare studi tecnici internazionali indipendenti sulle emissioni di gas serra associate al ciclo di produzione della carne; includere le emissioni di CO2 del ciclo di produzione della carne nel sistema europeo di scambio dei diritti d’emissione e nei negoziati internazionali; fissare chiari obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dal ciclo di produzione della carne; introdurre una tassa sulle emissioni di CO2 provenienti dalla zootecnia.

“La Conferenza Rio +20 deve essere l’occasione per un accordo imperniato su misure efficaci per una svolta sul futuro del nostro unico Pianeta, tramite la riduzione degli impatti degli allevamenti intensivi sull’ambiente e sugli animali – dichiara Paola Segurini, responsabile LAV Vegetarismo e www.cambiamenu.it – Considerata la richiesta sempre maggiore di carne, come discutibile simbolo di raggiunto benessere, che proviene dai Paesi terzi, sta a noi consumatori, virare verso un deciso cambiamento di menu. Rio +20 deve essere il momento in cui le istituzioni – dopo centinaia di studi scientifici che lo confermano e lo consigliano – adottano politiche per un’alimentazione sostenibile su base vegetale.” Aggiunge il vicepresidente della LAV, Roberto Bennati: “Il ciclo della produzione di carne sfrutta il 30% delle terre emerse del pianeta e il 70% delle terre agricole disponibili, contribuisce ad avere un impatto negativo sul clima e sull’ambiente, arrecando agli animali sofferenze e morte. Non è dunque più ammissibile che la politica agricola europea, che pesa per circa il 40% sul bilancio annuale dell’UE, continui a premiare produzioni a bassa qualità e alti impatti globali invece di promuovere un modello produttivo orientato all’alta qualità, alla responsabilità e alla sostenibilità, che contempli anche la promozione di proteine vegetali come sostitutive a quelle animali. Il cambiamento nelle scelte alimentare – conclude – ci coinvolge tutti, dai Governi alle singole famiglie, perché tutti noi ogni giorno portiamo in tavola alimenti che incidono sulla salute del pianeta e di tutti i viventi”.

All’iniziativa ha partecipato l’ex ministro del Turismo, on. Michela Vittoria Brambilla. “Non mangiare carne – commenta – fa bene a tutti, fa bene al pianeta. Tutti dobbiamo impegnarci a favore della Terra. E possiamo farlo cominciando dalle piccole cose, dalla nostra vita quotidiana. Purtroppo, è ancora troppo scarsa nel paese la consapevolezza di quale ferita creino all’ambiente gli allevamenti intensivi”.

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