DAI VERDI AL MOVIMENTO ANIMALISTA, LE RAGIONI DI UNA SVOLTA

Non è mai facile abbandonare una comunità in cui sei stato per lunghi anni e che hai sempre sentito come una seconda casa. Soprattutto quando si tratta di un partito politico, perché al di là dei gruppi dirigenti c’è quella comunità di elettori e militanti a cui ti senti profondamente legato e che non vorresti deludere mai. Ma nella politica esistono momenti in cui è utile e necessario portare avanti degli strappi, sebbene sia duro e doloroso farlo, tanto più quando capisci di non avere spazio e possibilità di produrre quei cambiamenti che danno senso al tuo impegno politico, quando non ti senti adeguatamente sostenuto e appoggiato nelle tue battaglie (vedi la campagna Salva il lupo o Save Iceberg), quando ti scontri ripetutamente con operazioni dell’alto, costruite da un vertice sempre più autoreferenziale e staccato dalla realtà, che considera il partito una cosa di sua proprietà da gestire a proprio uso e consumo, non curandosi del fatto che oramai quello stesso partito – in questo caso i Verdi – ha esaurito la propria funzione storico-politica ed è uno strumento inservibile per gli scopi per cui è nato. Peccato, perché quella storia e quella tradizione meritavano ben altra gloria, visto che mai come oggi il tema ecologista e animalista è al centro del discorso pubblico, che non va certo agitato in termini sterilmente strumentali e ideologici, ma che va affrontato con un approccio pragmatico e orientato ai risultati concreti.

Certo, nella mia decisione di abbandonare quello che è stato il mio partito – ovvero i Verdi – per oltre dieci anni hanno pesato più fattori: marginalità assoluta della questione animale; gestione opaca e poco democratica della vita interna al partito; deriva oligarchico-leaderistica camuffata goffamente con formule e appelli di rito pieni di buone intenzioni mai però veramente praticate; dialettica interna asfittica, soffocata da conformismo e da logiche di fedeltà ai capetti di sempre, con tanto di manovrine goffe quanto losche per tagliare fuori dagli incarichi di livello e marginalizzare le voci critiche e fuori dal coro; una strategia politica confusa e barcollante, salvo nei momenti elettorali in cui prevaleva, dopo maldestri e inefficaci tentativi di sistemare i soliti noti tramite accordi al vertice col Pd, la consueta linea fallimentare che schiacciava la vocazione ecologista, che di per sé ha una valenza universale e trasversale, nel cono d’ombra della sinistra radicale.

Ma ha pesato anche e soprattutto il solito vizietto di chi predica bene, ma razzola male, l’ipocrisia di chi si prodiga in proclami ad effetto che poi vengono puntualmente smentiti nella pratica di tutti i giorni. Basti guardare al caso dell’orsa KJ2: da una parte i Verdi sostengono la politica di Rossi, dall’altra lo denunciano. Era già accaduto con Daniza, pure allora però nessuna volontà di rompere i legami con una politica anti-ambientalista, pure allora la maggioranza del movimento aveva deciso di restare a fianco della giunta. Poi ci sono i casi della Campania, che vedeva i Verdi pronti a sostenere il condono edilizio di De Luca (facile infiammarsi per le vicende di Bagheria che vedono protagonista il M5S, quando si dimenticano ipocritamente le profonde contraddizioni in casa propria) e il caso Ilva di Taranto: anche qui il fervore barricadero cede presto il passo alle ragioni di sopravvivenza elettorale e ci si allea senza farsi troppo problemi con chi ha responsabilità politiche rispetto a quel disastro (vedi l’infelice telefonata di Vendola ai Riva). Infine, la questione legata ai contributi pubblici: come anche altri partiti, anche i Verdi hanno beneficiato di soldi pubblici, nello specifico di 20.610.780 euro, ma nonostante questo, a causa di una gestione malsana e scriteriata, si sono ritrovati con una mole di debiti tale che ha portato alla svendita della propria sede nazionale e ha condotto al fallimento, con tutte le conseguenze in termini di disoccupazione e precariato, le testate ModusVidendi, Terra ed EcoRadio.

Insomma, che credibilità e forza di persuasione si pretende di avere nel portare avanti le proprie rivendicazioni, quando per semplice tornaconto elettorale viene accettata qualsiasi mediazione al ribasso, anche se a danno dell’ambiente e dei diritti degli animali? Non ci si avvede che così facendo la propria retorica ha il sapore di qualcosa di finto e strumentale?

Non mi è mai piaciuta l’ipocrisia tipica di una certa sinistra, che si ammanta di paroloni che poi nei fatti e nei confronti delle persone più vicine vengono puntualmente smentiti, che fa appello continuamente al concetto di “umanità” ma che dimentica e resta indifferente alla sofferenze di chi è più vicino; quella sinistra abile a maneggiare una vuota e astratta retorica che si compiace di sé ma che poco si cura se resta un vociare inutile e fine a se stesso, che fa sua una visione disincarnata dell’uomo, disconoscendo i nuovi bisogni emergenti di identità e protezione, e che svalorizza i legami che ogni persona deve coltivare con la storia e le tradizioni del proprio paese.
Dal punto di vista ideologico mi sento un liberale attento alle questioni sociali ed ai diritti dei più deboli, attento soprattutto ai diritti degli ultimi fra gli ultimi, ovvero gli animali, la cui protezione rappresenta il faro del mio agire politico. Ma coltivo da sempre un approccio pragmatico alla politica, che non significa certo cinico e disincantato realismo, ma impegno nel dare traduzione concreta ai miei valori, volontà di rispondere ai bisogni concreti e impellenti, perché il movimento è tutto, anche se si tratta solo di piccoli passi in avanti, e il fine è nulla.

Tutti questi vizi si riflettono anche nel mondo con cui viene affrontato la questione immigrazione. Da sinistra c’è sempre qualcuno pronto ad accusarti di razzismo e xenofobia appena provi a problematizzare un minimo il discorso, appena provi a smarcarti da un approccio troppo manicheo, appena vuoi sfuggire alle semplificazioni di chi è “senza se e senza ma” a favore dei nuovi paladini di turno della sinistra ben pensante e politicante corretta (vedi il caso delle ONG), anche quando ombre si addensano sul loro operato. La mia bussola rispetto al tema immigrazione si chiama legalità, sicurezza e umanità. Mai l’una senza l’altra. Per affrontare una problema enorme e complesso come questo servono ad un tempo intelligenza e umanità. Intelligenza che vuol dire coniugare al meglio sostenibilità e solidarietà, vuol dire imporre all’Europa una diversa e più giusta condivisione delle politiche di accoglienza dei profughi, a partire dal rispetto degli accordi sulla quote di ripartizione dei migranti. Che significa soprattutto fare attenzione ai rischi di disgregazione e tensione sociale che l’impatto dei fenomeni migratori, mai così disordinati e caotici come oggi, hanno sulle fasce più deboli della nostra popolazione. Le mie profonde perplessità su alcuni aspetti della legge sullo ius soli si collocano proprio all’interno di questo ragionamento. Al netto di una contrarietà di principio su alcune parti di quelle legge (soprattutto sul tema ius culturae), questo tentativo di riforma mi pare un’inutile e dannosa forzatura, che poco cambierebbe a livello effettivo (chi nasce in Italia al compimento dei 18 può già acquisire la cittadinanza italiana; a questo punto meglio rendere questo percorso più agevole dal punto di vista degli oneri burocratici), ma che agisce fortemente a livello simbolico, alimentando i fenomeni di disorientamento e disintegrazione già in atto, con tutti i rischi che questo comporta.

Concludendo, la politica non è solo testimonianza, ma anche e soprattutto capacità di incidere nella realtà. A me preme questo: portare risultati concreti nella mia lotta a favore dei diritti degli animali, che è una battaglia trasversale agli schieramenti politici. E nel Movimento Animalista vedo l’opportunità di portare a concretezza le mie battaglie di sempre.

Per quanto mi riguarda, la centralità di un discorso legato ai diritti del mondo animale prevale sulle logiche di posizionamento politico, che oggi valgono fino ad un certo punto. Resto convinto che il tema ecologista e animalista sia un tema traversale agli schieramenti, e come tale vada trattato. In questo senso il Movimento Animalista, a cui ho deciso di aderire, è la forza che più vuole investire concretamente a favore dei diritti degli animali.

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