DEFORESTAZIONE, ANNO NERO: NEL 2019 PERDUTI 11 MILIONI DI ETTARI

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Incendi, deforestazione e altre sciagure umane: il 2019 e’ stato un anno nero per il pianeta che ha perso piu’ di 11 milioni di ettari di storiche foreste tropicali, ricche di carbonio e habitat di specie a rischio estinzione. A rilanciare l’allarme, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, e’ il World Resources Institute, organizzazione di ricerca no profit con sede a Washington. Dati satellitari hanno confermato una perdita senza precedenti di alberi in Bolivia a causa dei fuochi incontrollati per le attivita’ agricole. L’Australia e’ stata flagellata da mesi di incendi che hanno devastato sei volte la ‘normale’superficie di foreste, mentre in Brasile l’Amazzonia viene sempre piu’ sfruttata per le sue risorse. Secondo uno studio dell’Universita’ del Maryland, riportato dalla Bbc, nel 2019 ogni sei secondi e’ andata in fumo un’area di foresta primaria dalle dimensioni di un campo da calcio. Da solo il Brasile, governato dal presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, ha subito un terzo delle perdite mondiali di copertura vegetale, la peggiore da 13 anni a questa parte, ad eccezione degli incendi del 2016 e 2017. L’unica nota positiva e’ arrivata dall’Indonesia e dalla Repubblica democratica del Congo che sono riuscite a tenere sotto controllo la distruzione delle proprie foreste. In tutto le foreste tropicali hanno perso 11,9 milioni di ettari, di cui 3,8 milioni di foreste primarie: si tratta della terza piu’ alta distruzione dal 2000, in aumento rispetto al 2018. “Il livello di distruzione delle foreste registrato nel 2019 e’ inaccettabile. Lo e’ proprio per il fatto che sappiamo come fermarla: bastano buone politiche e l’attuazione delle leggi. Eppure i governi hanno allentato le restrizioni, autorizzando ad esempio lo sfruttamento commerciale nei territori indigeni” ha denunciato Frances Seymour del World Resources Institute. Tra le situazioni piu’ critiche quelle della Bolivia, che ha perso l’80% di foreste in piu’ rispetto all’anno precedente, tra cui il 12% della foresta secca di Chiquitano, nell’est, dove in aree indigene sono andati in fumo habitat di giaguari, tapiri e armadilli giganti. Se nel 2020 lo stop forzato delle attivita’ umane a causa della pandemia di Covid-19 ha ridotto lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento atmosferico, tutelando seppur momentaneamente la salute del pianeta, la crisi sanitaria ha pero’ bloccato programmi, finanziamenti e conferenze per la tutela della biodiversita’. In agenda a Marsiglia a meta’ giugno, e’ stato rinviato al 2021 il congresso mondiale dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Uicn) e stessa sorte potrebbe toccare alla XV Convenzione sulla diversita’ biologica, prevista in autunno in Cina, che dovrebbero delineare il piano post 2020. Rinviata anche la cruciale conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP26, in agenda per novembre a Glasgow.
Per ambientalisti e scienziati, alla luce del nesso diretto tra distruzione degli ecosistemi e nuovi virus, “la crisi attuale deve essere un motore verso una maggiore protezione della biodiversita’, con azioni piu’ decise dei governi” ha spiegato all’emittente Radio France Internationale Jean-Francois Silvain, presidente della Fondazione per la ricerca sulla biodiversita’. Tra gli obiettivi globali post-2020 quello di costruire su scala mondiale 30% di aree protette, raddoppiando le superficie attuali, nelle quali le attivita’ umane ed economiche saranno fortemente limitate per lasciare spazio ad animali in liberta’. Lo stesso dovrebbe accadere in aree marine protette, alla luce del ruolo cruciale di mari ed oceani nella lotta al riscaldamento globale e a tutela della biodiversita’. Il prossimo appuntamento globale decisivo sara’ proprio il Congresso mondiale dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, convocato a Marsiglia dall’11 gennaio. In quella occasione il presidente francese Emmanuel Macron terra’ un nuovo summit mondiale sulla biodiversita’, il One Planet Summit, per “proteggere gli ecosistemi se vogliamo prevenire l’insorgere di epidemie come quella del Covid-19”.

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