Lo hanno lasciato morire lentamente, dissanguato, senza alcun rispetto per la sua sofferenza. Per questa ragione è stata confermata la condanna a due cacciatori per reato aggravato di maltrattamento degli animali. Come riporta Il Sole 24 Ore lo ha deciso la Corte di Cassazione che, con la sentenza 29816, ha respinto il ricorso di due cacciatori, condannati dalla Corte d’appello a quattro mesi di reclusione, per il reato previsto dall’articolo 544-ter del Codice penale. Ad avviso dei ricorrenti una condanna ingiusta: la contestazione legittima poteva, secondo loro, essere solo quella di aver cacciato in un periodo di fermo, reato prescritto. La Cassazione non si è detta d’accordo: i due avevano sparato a tre caprioli caricandoli nel cassone del loro fuoristrada, uno di questi era però solo ferito ed era morto dopo “dopo essere stato sottoposto a sevizie insopportabili per le sue caratteristiche etologiche…”. I due avrebbero inflitto all’animale un’inutile sofferenza “conseguente alla mancata uccisione con un colpo di grazia”. Ci sono norme, risalenti agli anni ’20, che impongono, anche in caso di macellazione, di indurre la morte “nel modo più rapido possibile”. Un regio decreto del ’31 vieta gli spettacoli o i trattenimenti pubblici che “importino strazio o sevizie agli animali”. Perfino sotto il regime fascista sono stati emanati provvedimenti a (minima) tutela degli animali che, a distanza di un secolo, qualcuno ancora non rispetta.
(Foto di repertorio)