«Abbiamo letto con grande attenzione la memoria presentata dall’Ispra in occasione dell’audizione svoltasi questa mattina alla Commissione Agricoltura della Camera. Siamo molto sorpresi dal fatto che, secondo l’Istituto, “in alcuni contesti la prevenzione può contribuire a mitigare i danni”». Così l’Ente Nazionale Protezione Animali, che prosegue: «Infatti, la formula utilizzata davanti ai deputati esprime un compromesso al ribasso che, tuttavia, contraddice quanto scritto dallo stesso Istituto non più tardi di 10 giorni fa, in occasione della presentazione dell’indagine sulla gestione del cinghiale in Italia nel periodo 2015-2021». In quella circostanza l’Ispra sottolineava l’opportunità di integrare gli indirizzi fin qui seguiti, con interventi di prevenzione dei danni e di contenimento delle popolazioni, basati sulle più aggiornate conoscenze scientifiche. La contraddizione è evidente: in un caso l’Istituto inquadra la prevenzione come perno della strategia di riduzione dei danni, nell’altro lo riduce a elemento puramente accessorio.
Peraltro, è opportuno ricordare che in passato l’ISPRA ha sempre sostenuto la necessità di puntare sui metodi ecologici di prevenzione (non solo per i cinghiali), prendendo chiaramente posizione contro alcune tipologie di caccia, come quella in braccata, definite del tutto inutili ai fini del contenimento demografico dei cinghiali.
In realtà, secondo Enpa, la posizione pur contraddittoria espressa dall’Istituto non cambia i termini della questione. Tra il 2015 e il 2021 – si legge nella memoria ISPRA – le uccisioni annuali di cinghiali hanno registrato un incremento del 45% (per un totale di 2 milioni di esemplari abbattuti nei sette anni), ma la popolazione, così come i presunti danni all’agricoltura, non solo non sono diminuiti ma sono addirittura aumentati. I danni, in particolare, sono passati dai 16,7 milioni del 2015 ai 18,7 milioni del 2021 mentre il numero complessivo di esemplari avrebbe superato quota 1,5 milioni. «Dunque – conclude l’Ente Nazionale Protezione Animali – è evidente che la strada fin qui percorsa, quella delle uccisioni, è del tutto inutile. E che probabilmente è giunto il momento di cambiare strategia, puntando, malgrado le contraddizioni dell’Istituto, proprio sulla prevenzione».