di
Danilo Selvaggi*
Tra le cose interessanti della mostra sulla biodiversità (titolo: “Elogio della diversità”), al Palazzo delle Esposizioni di Roma, c’è una sezione interattiva in cui i visitatori possono pronunciarsi su alcune domande inerenti la natura.
I visitatori possono anche conoscere l’andamento dei risultati (delle risposte) in tempo reale, che al momento della mia visita era il seguente:
1) Uccideresti un orso, un lupo, un cervo quando diventano un problema per le attività umane? (82% No, 18% Sì);
2) Mangeresti carne di balena? (76% No, 24% Sì);
3) Rinunceresti a tutti i parcheggi della tua via per piantare alberi? (74% Sì, 26% No);
4) Il progresso è compatibile con la biodiversità? (59% No, 41% Sì);
5) L’umanità si salverà dalla sesta estinzione di massa? (63% No, 37% Sì).
Ora, questi risultati – di evidente orientamento “naturalistico” – andrebbero considerati tenendo conto di almeno un paio di tare:
– la presumibile cultura biofriendly, già in partenza, dei visitatori della mostra,
– la presumibile assenza di conflitti diretti (significativi) con la natura per la maggior parte dei visitatori della mostra.
Sono due condizioni che portano a rispondere in un certo modo, e cioè a favore della natura.
Se, invece, le domande fossero rivolte ad allevatori che subiscono danni da lupo, o a coltivatori che subiscono danni da storni, o anche a visitatori che si ritrovassero in un qualche conflitto o problema naturalistico concreto, i risultati sarebbero verosimilmente diversi.
Tuttavia, c’è un’altra importante tara da fare, e stavolta di segno opposto. L’informazione generalista non mette abbastanza in evidenza i beni e i servizi che dalla natura, ogni giorno ed ogni momento, noi riceviamo.
Cosa accadrebbe se l’informazione intorno al “bene natura” fosse ampia e massiva? Cosa accadrebbe se l’opinione pubblica fosse realmente informata su quali benefici produce la biodiversità e sul fatto che senza alberi, fiumi, impollinatori, uccelli, saremmo semplicemente morti? E cosa accadrebbe se ci fosse informazione più ampia anche sui bisogni delle altre specie, spesso negati dal nostro modo di abitare il territorio?
È molto probabile che le esigenze e le convinzioni della gente subirebbero un ulteriore sensibile cambiamento in senso naturalistico e le agende della politica ne sarebbero positivamente influenzate.
Ci sono almeno quattro morali che da questo discorso possiamo trarre:
1) la diffusione della cultura ecologica sta cambiando notevolmente la società. Nel 1980 le percentuali di risposta alle domande della mostra sarebbero state piuttosto diverse, per non parlare di cosa sarebbe accaduto – diciamo – nel 1950;
2) il cambiamento ecologico della società non è ancora adeguato, e ciò anche per via dei deficit dell’informazione tradizionale;
3) la questione della buona soluzione dei conflitti umanità-natura, e dunque della buona convivenza, va messa al centro e affrontata con molti più investimenti, impegno, intelligenza. È uno dei temi del futuro. Se ogni anno vengono lamentati X milioni di euro di danni da fauna, dovremmo investire almeno altrettante risorse affinché si trovino e si attuino le soluzioni giuste ed efficaci e, nel giro di breve tempo, i problemi siano fortemente ridimensionati;
4) la conoscenza della natura e dei suoi contributi alle società umane va rafforzata, così come, ovviamente, va rafforzata la conservazione della natura, incluso il suo utilizzo responsabile.
Insomma, all’elogio della biodiversità dobbiamo finalmente aggiungere la piena integrazione della biodiversità tra le cose che più contano per le nostre vite, ed agire di conseguenza, a tutti i livelli.
*Direttore generale Lipu-Birdlife
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