REFERENDUM REGIONALE SULLA CACCIA IN PIEMONTE

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ReferendumCaccia2Il 3 maggio scorso il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato un emendamento alla legge finanziaria che abroga la legge regionale sulla caccia, lasciando in vigore le norme nazionali, e quindi impedisce, per quest’anno, la celebrazione del referendum regionale sulla caccia già indetto per il 3 giugno 2012, a venticinque anni di distanza dalla richiesta referendaria. Ma la battaglia del comitato promotore continua: per veder riconosciuto dalla magistratura il diritto di celebrare il referendum e per protestare contro l’incredibile “scippo” perpetrato ai danni dei cittadini piemontesi. A tale scopo, il 3 giugno, giorno in cui avrebbe dovuto tenersi la consultazione, si svolgerà a Torino una manifestazione nazionale di protesta.

– La storia del referendum
– Che cosa chiede il referendum
– Gli sviluppi più recenti 

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IL REFERENDUM SULLA CACCIA IN PIEMONTE: UNA STORIA LUNGA 25 ANNI

Nel 1987 un Comitato costituito dalle più importanti Associazioni ambientaliste ed animaliste del Piemonte raccolse oltre 60.000 firme di cittadini in calce alla richiesta di un referendum abrogativo di parte della legislazione sulla caccia allora vigente in Piemonte. La Regione dichiarò ricevibile ed ammissibile il quesito e stabilì che il referendum si sarebbe dovuto svolgere nella primavera del 1988.

Ma la consultazione non ebbe luogo, perché la Regione modificò la legge sulla caccia, recependo però solo una modestissima parte dei quesiti referendari. Ad esempio, le specie cacciabili rimasero 29, contro una richiesta referendaria di solo più quattro, mentre il divieto di caccia alla domenica fu concesso solo per le prime due-tre settimane della stagione venatoria.

Il Comitato allora si rivolse alla Magistratura, la quale, dopo 24 anni di schermaglie legali e ben 9 gradi di giudizio, alla fine del 2010 riconobbe il diritto dei firmatari. Di conseguenza, il TAR impose alla Regione l’effettuazione del referendum.

Ma nemmeno questa volta si potrà andare alle urne. Infatti, con un atto liberticida ed illegittimo, la Regione Piemonte, nell’ambito della Legge Finanziaria del 2012, ha abrogato la legge regionale sulla caccia, facendo quindi automaticamente decadere il referendum. La gravità dell’atto risiede soprattutto nel fatto che, in assenza di una specifica normativa regionale, in Piemonte ora è in vigore la legge nazionale, molto più permissiva di quella abrogata. Insomma, dopo il danno la beffa: non solo non viene concesso agli elettori di esprimere il proprio parere sulla caccia, ma addirittura si agisce in modo diametralmente opposto a quelle che sono le richieste referendarie.

Nemmeno una proposta di mediazione approvata dalla Terza Commissione del Consiglio Regionale è stata tenuta in considerazione. La Giunta non si è dimostrata disposta a concedere nulla pur di compiacere a una frangia del tutto minoritaria della popolazione: ricordiamo che i cacciatori rappresentano solo lo 0,6% dei piemontesi.

Da rimarcare come il Comitato Promotore del referendum aveva dichiarato la propria disponibilità a trovare una soluzione “politica” alla vicenda, in grado di consentire il risparmio delle spese necessarie per indire la consultazione popolare. Ma la Giunta ha rifiutato ogni possibile dialogo ed ha proseguito imperterrita nella propria strada.

COSA CHIEDE IL REFERENDUM

Il referendum non chiede l’abolizione della caccia. Ne chiede però un sostanziale ridimensionamento, fatte salve le esigenze dei settori produttivi che potrebbero subire contraccolpi negativi da una presenza squilibrata di fauna selvatica sul territorio. I più importanti aspetti del quesito referendario sono i seguenti.

Limitazione al numero delle specie cacciabili. Il quesito prevede rimangano cacciabili solo più quattro specie: lepre, fagiano, cinghiale e minilepre. Da notare che, entrando in vigore anche in Piemonte la legge nazionale n. 157 del 1992, le specie cacciabili risulterebbero ben 58!
Il quesito referendario continua a prevedere la possibilità di intervenire con abbattimenti di controllo laddove l’eccessiva presenza di fauna selvatica comporti danni alle attività agricole.

Divieto di caccia nella giornata di domenica. Scelta legata soprattutto alla necessità di evitare situazioni di pericolo per tutti i frequentatori dell’ambiente “disarmati” (escursionisti, agricoltori, cercatori di funghi, ecc.). Oggi la caccia è permessa solo per alcuni giorni della settimana, ma la domenica è sempre tra questi.

Divieto di cacciare su terreno coperto da neve. Già oggi è così: sono tuttavia previste numerose eccezioni (ad esempio la caccia alla volpe, agli ungulati e alla tipica fauna alpina) che il quesito vorrebbe invece eliminare.

Limitazione ai privilegi concessi alle aziende faunistico-venatorie. Di fatto, nelle ex riserve private di caccia si possono abbattere animali in numero molto maggiore rispetto al territorio libero, non dovendosi applicare i limiti di carniere per molte specie. Il referendum vuole abolire questo privilegio per chi può permettersi di andare a caccia in strutture private. 

REFERENDUM CACCIA IN PIEMONTE: A CHE PUNTO SIAMO?

La sconcertante e liberticida decisione della Giunta Regionale di affossare il referendum sulla caccia (semplicemente abrogando la legge oggetto di consultazione) non pone certamente fine alla vicenda. Tutt’altro: il Comitato Promotore è ancora più risoluto di prima a far valere i diritti non solo della fauna selvatica, ma anche se non soprattutto dei cittadini.

L’attività quindi prosegue e si concentra sull’aspetto legale. Lo staff di avvocati che segue con competenza, passione e disinteresse gli interessi del Comitato ha infatti già predisposto una serie di interventi. La prima iniziativa è stata la presentazione di un esposto al TAR del Piemonte, per chiedere il rispetto del Giudizio di Ottemperanza (cioè l’obbligo rivolto al Presidente della Giunta di indire il referendum) emanato il 9 febbraio, ma poi rimasto senza seguito. La decisione del tribunale è attesa nei prossimi giorni.

Contemporaneamente è stato presentato un esposto al Governo, affinché valuti se nel comportamento della Regione non siano ravvisabili atti lesivi dei diritti costituzionali dei cittadini. Nel caso vengano accertate responsabilità oggettive, si richiede, ai sensi dell’art. 126 della Costituzione, lo scioglimento del Consiglio regionale o, in subordine, la destituzione del Presidente della Giunta.

Seguiranno presto anche un esposto alla Magistratura ordinaria per lesione dei diritti dei cittadini, con annessa richiesta di risarcimento dei danni, ed un esposto penale.

Tag: caccia
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