di
Danilo Selvaggi*
Da qualche settimana hanno preso il via le celebrazioni dell’ottocentesimo anniversario del Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi.
La storiografia disputa sull’anno di composizione dell’opera, se cioè risalga al 1224 o al 1225. Poco importa. Ciò che conta sono i caratteri innovatori di quel lavoro rispetto alle considerazioni che delle natura avevamo all’epoca e, in molti casi, abbiamo tutt’ora.
In effetti, celebrare oggi il Cantico dovrebbe essere un esercizio di cronaca politica più che di storia, considerato che, al di là degli aspetti religiosi e di credo, che nell’opera restano nettamente predominanti (la natura come creazione divina, le lodi a Dio, il peccato mortale eccetera), gli appelli ecologici che giungono dal Cantico sono forti, attuali ed anzi futuribili. Sono avanguardia di oggi e non solo avanguardia di ieri. Ne indico quattro.
Il Cantico è:
1) un messaggio sentimentale. Francesco promuove un rapporto di amore con la natura, alla quale, nelle sue tante forme, siamo legati come gli innamorati sono legati tra loro;
2) un messaggio universalistico. Francesco evidenzia la fratellanza e la sorellanza tra il vivente, oltre i rapporti di sangue e di specie, come ad anticipare di mezzo millennio la Fraternità e l’Universalità dell’Illuminismo e le nuove forme di società, fondate sugli accordi, il diritto, la conoscenza . “Fratello vento, sorella acqua, fratello sole…”. È vero che tale familiarità discende dal medesimo padre (Dio) ma è inevitabile leggere quelle righe come richiamo alla cittadinanza comune. Noi, dice Francesco, siamo cittadini della stessa città, abitanti della stessa terra;
3) un messaggio sulle risorse. Francesco si produce in un elenco dei benefici che la natura offre, come a spiegarci (800 anni prima di Herman Daly e Robert Costanza) cosa significhi “capitale naturale” e “servizi ecosistemici” e quanto sia importante preservarli. “Madre terra ci sostiene e ci governa; produce diversi frutti, con fiori variopinti ed erba”;
4) un messaggio sistemico. Francesco sottolinea i nessi tra il vivente, cioè come il vivente sia in relazione anche orizzontale, di vita, scambio, metabolismo, luce, acqua, movimento, degenerazione, morte. Ecologia.
C’è una contraddizione logica che ha pervaso e continua a pervadere il nostro concetto di natura: che la natura sia insignificante eppure indispensabile. Che non abbia effettivamente un valore, eppure non possiamo farne a meno. Il nostro perdurante abuso di natura abbinato al nostro perdurante dis-pensiero della natura dice di questa contraddizione logica che è tanto stridente, clamorosa (Aristotele si rivolta nella tomba), quanto pericolosa.
Anche per questo il Cantico è un’opera sorprendente. I suoi messaggi, ai giorni nostri, tra le ingiustizie, i drammi sociali, geopolitici e ambientali in atto, suonano con una forza ecologica e cosmopolitica che per molti versi dovrebbe fare da guida, per i laici e soprattutto per i credenti. I quali, in vari casi, non hanno preso abbastanza sul serio l’enciclica Laudato si’ e l’esortazione Laudate Deum e in alcuni casi le hanno addirittura avversate, bollandole come eresie, deviazioni dalla vera fede.
La fede, mi permetto di dire senza alcun intento offensivo, va oggi vissuta come esercizio di apertura.
In una memorabile relazione al congresso dell’American Association for the Advancement of Science, nel dicembre 1966, lo storico Lynn White Jr. propose Francesco come patrono degli ambientalisti. Aveva ragione.
Francesco d’Assisi va considerato certamente un ecologista ante litteram ma va anche pensato come “genio”, laddove per “genio” debba intendersi non tanto l’inventore ma il tessitore. Quella figura di intellettuale capace di agire a un livello superiore di astrazione, il livello in cui i punti di vista e le discipline si incontrano e in cui il frastuono dell’entropia e il rumore della distruzione del mondo diventano organizzazione, riorganizzazione, ricostruzione, armonia, cantico.
*direttore generale Lipu