A dieci anni dall’Accordo di Parigi, l’azione climatica globale fa progressi ma i paesi del mondo procedono troppo lentamente nel raggiungere gli obiettivi preposti. Secondo la classifica ‘Climate Change Performance Index 2026’, stilata dal rapporto Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia, la Penisola retrocede al 46esimo posto (nel 2022 era 29esima). Colpa di una politica climatica nazionale, che secondo l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima(PNIEC) consente una riduzione complessiva delle emissioni entro il 2030 di appena il 44.3% e del 49.5% se si includono anche gli assorbimenti di carbonio del settore LULUCF. “Quanto emerge dal report Germanwatch 2026, conferma quanto poco stia facendo l’Italia nel contrasto alla crisi climatica. Sul fronte energetico il nostro Paese continua ad avere una visione miope che sta facendo fare solo passi indietro anche nella lotta alla crisi climatica, creando al tempo stesso nuove dipendenze energetiche dall’estero, da Paesi instabili politicamente. Il governo Meloni usi buon senso e non dimentichi che la Penisola può diventare un hub delle rinnovabili attraverso un modello fondato su fonti pulite, reti, accumuli ed efficienza” commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. La crescita delle rinnovabili in Italia è lenta, nel 2023 la quota del consumo da fonti rinnovabili, sul consumo finale lordo di energia, si è attestato ad appena il 19.6%, performance fortemente inadeguata a raggiungere l’obiettivo del 39.4% previsto dal PNIEC. L’Ispra sottolinea, infatti, che il ritmo di crescita delle rinnovabili dovrebbe essere circa quattro volte superiore rispetto al passato per centrare l’obiettivo del PNIEC. “Un piano poco ambizioso anche nelle soluzioni, che si nasconde dietro il dito del pragmatismo e della neutralità tecnologica posticipando il phase-out del carbone addirittura al 2038 e ricorrendo ancora una volta a false soluzioni” ha dichiarato Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo Legambiente e inviato alla COP30. Per il report sono stati presi in cosiderazione 63 paesi e l’Unione Europea nel suo complesso, che rappresentano il 90% delle emissioni globali, e la performance misurata con il Climate Change Performance Index (CCPI) usando i parametri dell’accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha ancora raggiunto la performance necessaria per contribuire a contenere con efficacia il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Si conferma in testa alla classifica con il quarto posto la Danimarca, poi il Regno Unito e il Marocco. Maglia nera per Russia, U.S.A., Iran e Arabia Saudita.
Editoriale
LA “LAUDATE DEUM” E I PASSERI DELL’EVANGELISTA
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di Danilo Selvaggi* “Laudate Deum”, la nuova Esortazione apostolica di Papa Francesco, rappresenta un aggiornamento dell’enciclica “Laudato si”, di cui ...
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