L'AGNELLO PASQUALE, UN'USANZA CRUDELE CHE PIACE SEMPRE MENO AGLI ITALIANI

Non è una tradizione cristiana, né tantomeno un obbligo, semmai un’usanza sempre meno seguita: mangiare carne di capretto o di agnello a Pasqua significa solo alimentare un’industria in lento declino, che comunque ogni anno costa la vita a circa 4,5 milioni di animali in tenera età. Secondo i dati Istat, il “picco pasquale” del 2010, in marzo, ha condotto al macello circa 812 mila capi tra agnelli, agnelloni e capretti, mentre nell’aprile 2011 ne sono stati sacrificati circa 711 mila.
La mattanza pasquale riguarda animali di 30-40 giorni, nati dopo cinque mesi di gravidanza delle madri, la cui fecondazione è regolata in maniera tale da poter portare i piccoli al macello quando pesano 8-12 chili. L’intera produzione lattea della madre è destinata all’alimentazione dell’agnello, con un coefficiente di conversione pari a 5-6 chili di latte per ogni chilo di peso. Lo stesso risultato si può ottenere, con un tocco di crudeltà in più, attraverso l’allattamento artificiale. Questa vera e propria “strage degli innocenti” non ha alcun fondamento nella tradizione cristiana, semmai ha radici nel Vecchio Testamento. Tra le comunità cristiane più antiche, infatti, l’agnello era rappresentato sulle spalle del pastore e simboleggiava l’anima salvata da Cristo. Pur non imponendo l’obbligo dell’alimentazione vegetariana, la dottrina cattolica avverte e sottolinea la differenza tra il mangiar carne per necessità e il soddisfacimento degli interessi dell’industria alimentare.
Secondo il rapporto economico finanziario 2011 dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), l’offerta nazionale di produzioni ovicaprine (latte e carne), che incide per appena l’1,6 per cento sul Pil agricolo, è caratterizzata da una forte concentrazione territoriale nel Centro-Sud. La Sardegna è la Regione in cui si concentra il 45% degli ovini allevati in Italia e oltre un quarto dei capi caprini. Altre Regioni importanti per numerosità e consistenza degli allevamenti ovini sono la Sicilia, il Lazio e la Toscana, mentre per i caprini assumono importanza le realtà produttive della Calabria, della Sicilia e dalla Basilicata. In aumento le importazioni di animali vivi. La trasformazione industriale genera un volume d’affari stimato in quasi unmiliardo di euro, diviso all’incirca a metà tra la componente lattiero-casearia e quella della macellazione, che quindi incide in misura modesta sul fatturato complessivodell’industria agroalimentare. Le macellazioni di ovini e caprini ammontano a poco meno di 55 mila tonnellate, con una flessione media annua dell’1,8% nel quinquennio 2005-2010. Anche i consumi sono in flessione, con una rilevantecontrazione per quanto riguarda i capretti, non del tutto compensata dell’aumento degli acquisti domestici di carne d’agnello.
“Non festeggiate la Pasqua mangiando agnelli e capretti”. E’ l’appello rivolto agli italiani dalla Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente. “Si tratta – spiegano le associazioni animaliste – di una tradizione crudele e superata, che non ha alcun fondamento in prescrizioni religiose. Anzi, è moralmente condannabile e da rifiutare, così come sono note le sofferenze che si celano dietro l’industria della carne. Ma nel caso di agnelli e capretti c’è un’ulteriore aggravante: si toglie la vita ad animali in tenera età, ancora lattanti, solo per stuzzicare il palato e soddisfare determinati interessi industriali. Ci auguriamo che gli italiani non cadano in questa trappola e, come stanno facendo da anni, in misura sempre maggiore, si orientino, per festeggiare la Pasqua, verso un menù vegetariano”.

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