CANE “DIMENTICATO” NELLA PENSIONE: NON E’ ABBANDONO

Animale “dimenticato” nell’albergo per cani e pagamento della retta interrotto a metà. Un caso delicato, senza dubbio, ma non c’è nessuna possibilità di pensare al reato di abbandono. In particolare, se la struttura è “affidabile e professionale”. Lo stabilisce la sentenza della Cassazione 13338/12.
La vicenda parte da qui. Due animali vengono affidati ad una “pensione” per cani, con tanto di retta da mensile. Ma la proprietaria li “dimentica” lì per troppo tempo. Inutili anche le sollecitazioni del responsabile della struttura. Ecco perché la donna viene condannata – dal giudice dell’udienza preliminare – per il reato di abbandono di animali, e obbligata a pagare duemila euro di ammenda. Secondo il giudice, i cani “erano stati affidati ad un canile privato e non ad un canile municipale” e, quindi, “avrebbero potuto essere privati delle necessarie cura e custodia”. Ma la proprietaria dei due animali contesta l’ammenda e, tramite il proprio avvocato, presenta ricorso in cassazione, dicendo che non si è trattato di “un abbandono”. Secondo la tesi difensiva, gli animali sono stati affidati “ad un canile”, e anche la struttura privata è obbligata a garantire “la cura e la custodia, per contratto”. Secondo la signora, quindi, nessun addebito è possibile, in ambito penale, perché agli animali, comunque, la “pensione” deve assicurare, per forza di cose, assistenza adeguata.
Ebbene, la prospettiva tracciata dalla proprietaria sotto accusa finisce per essere condivisa dai giudici della Cassazione, i quali, alla luce della vicenda, scrivono che la donna “aveva affidato due cani a una struttura privata, aveva pagato le prime mensilità contrattualmente previste e aveva sottoscritto apposita clausola con la quale autorizzava il canile, in caso di bisogno, ad intervenire e ad anticipare le spese per le prestazioni e i mezzi terapeutici”, ma, poi, “aveva sospeso i pagamenti e non aveva risposto alle sollecitazioni” per il ritiro degli animali. E, nel contempo, i giudici ricordano che, da giurisprudenza, l’ipotesi dell’abbandono diventa realtà se non viene assicurato “il rispetto delle esigenze psico-fisiche dell’animale” e se quest’ultimo è “sprovvisto di custodia e cura” ed è “esposto a pericolo per la sua incolumità”.
Per la legge, però, il mancato pagamento della “retta” da parte del proprietario dell’animale non autorizza la struttura – sia pubblica che privata – ad “abbandonare il cane”, ad “interromperne la cura e la custodia” o a sopprimere l’animale. Questo comporta che il proprietario dell’animale, in caso di “sospensione dei pagamenti” o di “mancato ritiro”, può rispondere di inadempimento contrattuale, non di abbandono. A patto che non sia “prevedibile, per l’inaffidabilità o la mancanza di professionalità del canile, l’abbandono del cane” da parte della struttura. Ma tale ipotesi non emerge in questo caso. Ecco perché i giudici – accogliendo il ricorso della donna – azzerano la pronuncia di condanna emessa dal Gup e chiudono la questione ritenendo non ravvisabile il reato di “abbandono di animali”.

Tag: animali, maltrattamenti
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