CLIMA, VERSO LA COP30: A CHE PUNTO SIAMO CON L’ACCORDO DI PARIGI?

A dieci anni dall’adozione dell’accordo di Parigi, la diplomazia climatica si trova a fare il punto della situazione e a porsi delle domande, in un mondo che continua a riscaldarsi e rimane diviso da fratture geopolitiche ed economiche. Per la presidenza brasiliana della Cop30 (10-21 novembre), organizzata a Belem, si apre un nuovo capitolo: quello dell’attuazione delle promesse formalizzate dal 2015 nell’ambito dei negoziati delle Nazioni Unite basati sul consenso. Siglato nel 2015 durante la Cop21, l’accordo ha mobilitato l’azione collettiva globale per proseguire gli sforzi volti a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. E’ un trattato internazionale che vincola giuridicamente i suoi firmatari affinché agiscano per combattere i cambiamenti climatici. E’ entrato in vigore il 4 novembre 2016 e, tra le altre cose, chiede alle nazioni aderenti di rivedere gli impegni ogni cinque anni, di fornire finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per mitigare i cambiamenti climatici, di rafforzare la resilienza e migliorare le capacità di adattamento agli impatti del clima. Ma questo decimo anniversario è segnato da difficoltà. A cominciare dalla decisione del presidente americano Donald Trump – che definisce il cambiamento climatico una “truffa” – di ritirare per la seconda volta il secondo inquinatore mondiale dall’accordo. Gli Stati Uniti, insieme ad altri paesi, prevedono di produrre sempre più petrolio, gas naturale e persino carbone. Nonostante la promessa fatta alla Cop28 di Dubai (2023) di avviare una transizione per abbandonare queste energie responsabili della maggior parte del riscaldamento globale. Per applicare l’Accordo di Parigi, i paesi dovevano anche aggiornare entro settembre le loro tabelle di marcia climatiche per il 2035. Tuttavia, l’Unione europea non ha ancora finalizzato il suo documento, mentre la Cina, primo emettitore mondiale, si è accontentata di obiettivi minimalisti. Nonostante queste delusioni, le Cop rimangono “assolutamente necessarie” per riunire i paesi del mondo e renderli responsabili della loro mancanza di ambizione, secondo Patricia Espinosa, ex capo dell’Onu clima. “Non credo che esista un altro modo per affrontare una minaccia così grande per l’umanità”, spiega all’AFP. E nonostante le loro imperfezioni, le Cop “hanno fornito un programma molto chiaro su ciò che dobbiamo fare”. I limiti di temperatura fissati dall’accordo non sono affatto astratti per le nazioni minacciate dall’innalzamento del livello del mare. È una questione di “sopravvivenza”, dice all’AFP il ministro del clima dell’arcipelago pacifico di Tuvalu, Maina Talia. “A dieci anni dall’accordo di Parigi, stiamo ancora cercando di far sentire la nostra voce”. Secondo l’Onu, l’accordo storico ha permesso un notevole cambiamento di rotta per il mondo. Prima del trattato, il pianeta si stava dirigendo verso un riscaldamento catastrofico di 5 °C entro la fine del secolo, contro una traiettoria di 3 °C oggi. Ma questo è tutt’altro che soddisfacente. Il mondo ha vissuto il suo primo anno solare sopra i +1,5 °C nel 2024, subendo incendi giganteschi, inondazioni e ondate di calore mortali. Nell’accordo del 2015, questa soglia di temperatura si intende come media su 10 o 20 anni. E la maggior parte degli scienziati ritiene che la soglia di un aumento medio di 1,5 °C su diversi anni sarà superata tra pochi anni, a meno di un cambiamento radicale di direzione. “Dobbiamo ammettere il nostro fallimento nel proteggere le persone e le nazioni dagli effetti ingestibili del cambiamento climatico causato dall’uomo”, ha dichiarato Johan Rockström, direttore dell’Istituto di ricerca sul clima di Potsdam (PIK), davanti all’Onu a New York il mese scorso. “Ma non siamo obbligati a continuare a fallire”. L’accordo non riguarda solo queste soglie di temperatura. Ha anche sancito principi importanti come la finanza per il clima o l’adattamento ai cambiamenti climatici. E ha svolto un ruolo chiave in una decisione presa a luglio dalla Corte internazionale di giustizia (CIJ), che ha dichiarato “illegale” il mancato rispetto degli obblighi climatici da parte degli Stati. Questi governi potrebbero essere chiamati a risarcire i paesi colpiti. Per quanto riguarda le soluzioni più efficaci emerse, come lo sviluppo dell’energia solare ed eolica, sostenuto dal calo dei costi, non hanno certamente un rapporto diretto con l’accordo. La Cina ha iniziato a guidare la corsa alle energie rinnovabili negli anni 2000, basandosi sulle innovazioni sviluppate in Europa e negli Stati Uniti nei decenni precedenti, ricorda Kingsmill Bond, del gruppo di riflessione Ember. Quest’ultimo incoraggia il processo delle Nazioni Unite a favorirne lo sviluppo. “Ora disponiamo di queste nuove tecnologie. Facciamogli spazio”, sostiene.

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