“The Washington Post” pubblica il 4 ottobre un articolo in cui la giornalista Catherine Rampell racconta di aver assaggiato carne di pollo coltivata in laboratorio, creata a partire da cellule animali raccolte da animali vivi o uova fecondate. A differenza dei sostituti vegetariani come quelli a base di soia – spiega Rampell – si tratta di vera carne, ma cresciuta in laboratorio anziche’ proveniente da animali allevati e macellati. La carne e’ stata prodotta da Upside Foods e servita in tre piatti diversi: un’insalata Waldorf, un panino per la colazione e una empanada. Il risultato? Un pollo dal sapore del tutto normale, simile a quello tradizionale, ma non particolarmente distintivo o adatto a piatti gourmet, scrive. Il problema principale della carne coltivata in laboratorio – per l’autrice – e’ il suo costo elevato, che la rende accessibile solo a ristoranti di fascia alta. Upside Foods, pur non rivelando il prezzo esatto, ammette che il prodotto costa molto piu’ del pollo biologico. Tuttavia, con il miglioramento delle tecnologie, si spera che la carne coltivata possa diventare piu’ gustosa e conveniente, rendendola una vera alternativa per le mense e i ristoranti piu’ economici. L’industria della carne coltivata, pero’ – prosegue la giornalista – non deve solo affrontare sfide tecniche ed economiche, ma anche politiche. In alcuni stati repubblicani come Florida e Alabama, sono state approvate leggi che vietano la produzione e la vendita di carne coltivata in laboratorio, spingendo Upside a contestare queste leggi in tribunale. Tali restrizioni sono viste dall’autore come antiquate e anti-libertarie, ostacolando un’innovazione che potrebbe avere numerosi benefici sociali e ambientali. Uno dei principali vantaggi della carne coltivata in laboratorio e’ la possibilita’ di ridurre la sofferenza animale, dato che non richiede l’allevamento e la macellazione su larga scala. Inoltre, potrebbe ridurre l’impatto ambientale della produzione di carne tradizionale, responsabile del 12% delle emissioni globali di gas serra. Tuttavia, attualmente la produzione di carne coltivata richiede molta energia, ma si prevede che questo problema possa essere mitigato con l’uso di energie rinnovabili. Un ulteriore vantaggio della carne coltivata potrebbe essere il rafforzamento della sicurezza alimentare, riducendo la vulnerabilita’ degli approvvigionamenti alimentari a epidemie come la peste suina. Inoltre, trasferire la produzione di carne in laboratori sterili potrebbe diminuire il rischio di malattie trasmesse dagli animali all’uomo.
CARNE COLTIVATA, L’ASSAGGIO DEL “WASHINGTON POST”

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Editoriale
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