COP29, IL PRESIDENTE AZERO: “IL PETROLIO E’ UN DONO DI DIO”

Ancora in salita la Cop29 che si è aperta ieri a Baku, in Azerbaigian. Da una parte i leader dei paesi poveri e vulnerabili hanno chiesto di raddoppiare gli sforzi economici mentre dall’altra i Paesi arabi hanno ribadito di non demonizzare il gas e il petrolio. Le decine di interventi di presidenti e primi ministri alla 29esima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dimostrano che le cicatrici dell’ultima COP, a Dubai, sono ancora vive. I paesi avevano allora adottato all’unanimità un appello senza precedenti per una transizione verso l’uscita graduale dai combustibili fossili. Anche quest’anno la conferenza si svolge in uno dei principali paesi produttori di petrolio e gas. E il suo presidente, Ilham Aliev, ha usato l’espressione “dono di Dio” per designare gli idrocarburi che hanno arricchito l’Azerbaigian. E ha ricordato che la stessa Unione Europea gli aveva chiesto di fornire più gas, dopo la crisi energetica del 2022. “Qualsiasi risorsa naturale, petrolio, gas, eolico, solare, oro, argento, rame: queste sono risorse naturali e i paesi non dovrebbero essere incolpati di averle e di fornirle ai mercati, perché i mercati ne hanno bisogno”, ha affermato Aliyev. I “fake news media” degli Stati Uniti, “il principale produttore mondiale” di combustibili fossili, “farebbero meglio a guardarsi allo specchio”. Nel corso della giornata, uno dei pochi leader europei presenti, Viktor Orban, il primo ministro ungherese che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’UE, ha invitato a “continuare a portare avanti la transizione verde pur mantenendo il nostro uso di gas naturale, petrolio e energia nucleare. E ha insistito: “La lotta al cambiamento climatico non deve essere contro le aziende, ma con loro”. Ma forte si è fatta sentire la schiera dei paesi molto proattivi sul clima, regolarmente devastati da siccità, ondate di caldo o inondazioni. Lo Zimbabwe sta soffrendo “una delle peggiori siccità della sua storia”, ha affermato il suo presidente, Emmerson Mnangagwa, aggiungendo che “il tempo delle mezze misure è finito”. “I flussi di denaro finanziano facilmente le guerre, ma quando si tratta di adattamento climatico, vengono esaminati attentamente”, ha accusato il presidente delle Maldive Mohamed Muizzu. Il cambiamento climatico “ha contribuito alla morte di più di 200 nostri connazionali. (…) Il pianeta ci manda un segnale forte”, ha dichiarato Pedro Sanchez, capo del governo spagnolo, due settimane dopo le mortali inondazioni di Valencia. “Ma in questo momento cruciale per la nostra umanità, vediamo molti governi esitare e rallentare quando dovrebbero accelerare”, ha detto. E’ tornata così in vigore un’idea, promossa dallo scorso anno dalla piccola isola di Barbados, Francia e Kenya, per aiutare i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e dell’Asia Pacifico a investire nelle energie rinnovabili e a rafforzare le proprie città ed economie di fronte ai disastri naturali.
La maggior parte dei leader del G20, chiamato a dare il massimo contributo per la sua responsabilità storica, non è a Baku. Tra i pochi presenti c’era il primo ministro britannico Keir Starmer, che da Baku ha annunciato il nuovo, molto ambizioso obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del suo Paese entro il 2035. “Siamo qui per mostrare leadership” da Londra nella diplomazia climatica, ha dichiarato il premier, senza rispondere a una domanda centrale del vertice: come può accelerare l’azione per il clima senza gli Stati Uniti di Donald Trump? Il principale ostacolo di Baku è negoziare una nuova cifra annuale per gli aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo. Si chiede un aumento di dieci volte o più degli importi attuali (116 miliardi di dollari all’anno nel 2022). Importi considerati irrealistici dagli occidentali più propensi a ridurre la spesa pubblica dopo i deficit e l’inflazione post-Covid. Le trattative iniziano male.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato gli oltre 200 Paesi a raggiungere un compromesso sugli aiuti finanziari che i Paesi sviluppati devono versare ai Paesi più poveri. “I Paesi in via di sviluppo non devono lasciare Baku a mani vuote. Un accordo è essenziale”, ha esortato. “Il mondo deve pagare, o l’umanità ne pagherà il prezzo”, ha aggiunto. Intanto, secondo quanto annunciato, il “fondo per rispondere alle perdite e ai danni climatici” nei paesi più vulnerabili, il cosiddetto fondo ‘loss and damage’ creato alla COP28, è ora quasi operativo e si prepara a rilasciare le risorse. Questo fondo ha finora ricevuto 700 milioni di dollari in impegni da parte dei paesi ricchi (Germania, Francia, Emirati Arabi Uniti, Danimarca, ecc.). a somma però “è lungi dall’essere sufficiente a compensare il danno inflitto ai più vulnerabili”, ha lamentato il segretario generale Guterres. 700 milioni di dollari rappresentano “all’incirca il reddito dei dieci giocatori di calcio più pagati al mondo”, ma nemmeno un quarto dei danni causati in Vietnam dall’uragano Yagi a settembre, ha aggiunto. Adottato in linea di principio alla COP27 in Egitto e creato in pompa magna alla COP28 negli Emirati, questo fondo è destinato a sostenere i paesi più vulnerabili che si trovano ad affrontare la devastazione legata alle inondazioni e agli uragani che stanno aumentando sotto l’effetto del riscaldamento globale. La sua creazione, dopo anni di difficili negoziati, risponde a una vecchia e forte richiesta da parte dei paesi in via di sviluppo, molto arrabbiati per aver subito gli impatti più forti del cambiamento climatico anche se ne sono i meno responsabili.

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