VALENCIA E LA CRISI DELLA LOGICA

di
Danilo Selvaggi*

Le ragioni che hanno portato a credere al cloud seeding come causa dell’alluvione in Spagna nulla hanno a vedere con la scienza e il suo metodo.

Il metodo scientifico parte dai casi per arrivare alle conclusioni (metodo induttivo), o parte dalle conclusioni per valutare i casi (metodo deduttivo), ma sempre attraverso una fondata analisi dei dati.

La “spiegazione spagnola” non è né induttiva né deduttiva (e nemmeno abduttiva) ma, diciamo così, seduttiva. Assunta la tesi che si intende sostenere, si inventano, o modificano, o ingigantiscono dei fatti a sostegno di quella tesi, che possano piacere, accarezzare, toccare le corde giuste, confermare i bias. Sedurre.

Non si tratta dunque di veri fatti ma – per usare il termine tecnico – di “fattoidi”, di pseudo-fatti che producono pseudoverità a misura di desideri e paure.

Il caso di Valencia non è certo il primo e non sarà l’ultimo. Nella vicenda degli incendi alle Hawaii dell’agosto 2023 la “spiegazione spagnola” più gettonata individuò la causa della distruzione nell’uso di “armi ad energia diretta” (DEW, Directed Energy Weapon) e il fine dell’operazione nell’espropriazione dei terreni di quell’area, che la popolazione locale non voleva cedere ai “ricchi americani”. In sostanza: cattive intenzioni + tecnologia distruttiva.

Per l’alluvione in Romagna del maggio 2023 fu usata la stessa logica, con l’attenzione puntata su di “un misterioso aeroplano” volato sui cieli romagnoli il 14 maggio, a ridosso della grande pioggia. Che si trattasse del veivolo Beechcraft 200 della Aéro Sotravia, usato per le trasmissioni video del Giro d’Italia di ciclismo, non ebbe alcun rilievo. Ciò che contò fu 1) il fatto che quell’aereo stesse lì, quel giorno, e ovviamente 2) il fattoide che quell’aereo stesse lì per inseminare le nuvole e generare l’alluvione.

Le ragioni ipotizzate per l’alluvione intenzionale di Valencia sono varie. Alcuni esempi:
– distruggere l’agricoltura biologica dell’area per favorire l’agricoltura industriale;
– distruggere l’agricoltura dell’area (tutta) per favorire l’agricoltura africana;
– punire la Spagna per essersi schierata contro Israele nel conflitto in Medio Oriente;
– favorire “l’Agenda 2030 contro la famiglia, la religione, gli agricoltori”.

Sulla completa irrelazione tra la tragedia di Valencia e il cloud seeding (ad esempio il cloud seeding in Marocco) ci sono pagine e articoli a iosa di esperti e istituti scientifici titolati e autorevoli, che spiegano perché una pratica di cloud seeding mai potrebbe determinare situazioni meteorologiche estreme come quella verificatasi a Valencia.

Non mi soffermerò (per quanto lo meriterebbe) sulla tesi, che circola nei social media, secondo cui una serie televisiva spagnola avrebbe dettagliatamente previsto l’alluvione di Valencia e lo avrebbe detto pubblicamente (un po’ come accade con il noto mito de “I Simpson” che “prevedono tutto”). Alla domanda “Ma perché lo dicono pubblicamente?”, la risposta più in uso è che “Loro hanno l’obbligo di dire certe cose”. Loro chi? L’obbligo da parte di chi? Certe cose quali?

Neanche mi soffermerò sul tema del complottismo in generale, che è argomento veramente vasto, complesso, articolato e di corso molto più lungo di quanto si creda.

Ciò che qui mi interessa è sottolineare l’esistenza di un nesso tra anti-scienza, complottismo e parte del mondo ambientalista. Cioè, porre una questione intorno alla fortuna che la “spiegazione spagnola” sta avendo anche in taluni ambiti della cultura ecologica.

Perché accade? Cosa c’entra la cultura ambientalista con queste forme di credulità, talvolta veramente incredibili? Come si può prestare il fianco a tesi così sballate, limitarsi ad analisi tanto superficiali e preconcette? Rinunciare al pensiero, alla verifica, al ragionamento?

Tra i tanti motivi voglio sottolinearne uno, generale ma importante e direi “oggettivo”: la crescente divisione tra ambientalismo illuminista e ambientalismo romantico.

La divergenza tra illuminismo e romanticismo accompagna la cultura ambientalista sin dalla nascita, dalle sue origini. C’è un ambientalismo illuminista, che mette in primo piano la scienza, la politica, la dimensione istituzionale, e guarda con speranza la tecnologia, e c’è un ambientalismo romantico, che mette in primo piano i valori, la cultura, la dimensione individuale/comunitaria e guarda con sospetto la tecnologia (ove non la rifiuti del tutto).

In un mondo sempre più complesso, difficile e razionalizzato, questa divergenza sta crescendo e diventando estrema. Da un lato, l’idea che solo la tecnica salverà il mondo, dall’altro l’idea che il mondo lo salveranno la poesia e i sentimenti e non la tecnica. Anzi, la tecnica intende distruggere, o controllare, o soggiogare la realtà, esseri umani inclusi.

È soprattutto in questo senso che, in ambito ambientalista, si spiegano certe forme estreme di tecnofobia, di sospetto perenne, di avversione per l’istituzione e il potere costituito (quasi in ogni sua forma) e, addirittura, di avversione per la scienza, vista come un mero strumento nelle mani del male.

In questo senso si spiega anche lo scetticismo nei confronti della crisi climatica, uno scetticismo che nel mondo ambientalista trova sempre più sostenitori, soprattutto per via delle soluzioni quasi esclusivamente tecnologiche date alla crisi climatica e del conflitto che alcune di esse generano, specie quando adottate a discapito di altri valori ambientali (decisivo, almeno in Italia, è il tema dei danni naturalistici e paesaggistici causati dalla localizzazione degli impianti di energia rinnovabile, che nel nostro paese ha avuto una gestione pessima).

Tuttavia, negare un problema (reale) per via delle soluzioni (sbagliate) è un errore grave, logico e pratico, tanto più se il problema si chiama crisi climatica. Significa entrare involontariamente nel cono d’ombra di quel mondo socio-economico, politico, geopolitico, che ha tutta la convenienza a negare la crisi climatica, a metterne in dubbio le fondamenta scientifiche (induttive e deduttive) e ancora di più a rifiutarne le conseguenze culturali, ovvero la necessità di cambiare il mondo, le abitudini, i consumi, i desideri.

Attenzione, perché la tattica usata sul cambiamento climatico è la stessa che si sta applicando all’altra grande crisi ambientale, quella della biodiversità. Il caso dei “trattori” e della Nature Restoration Law ha mostrato come le fake news, i fattoidi, la “spiegazione spagnola” e in generale il metodo seduttivo si stiano estendendo anche alla questione della natura: vogliono togliere la terra ai contadini per darla agli uccelli; vogliono favorire l’agricoltura africana a discapito di quella europea; pensano al diritto delle api e non a quello delle persone; considerano sacra la natura e odiano gli esseri umani, e via dicendo. Il tutto condito con immagini da intelligenza artificiale e narrazioni da “buon mondo di una volta”, fatte di nostalgia, dolcezza, famiglie, nonni, antichi valori, antimodernità.

È la stessa, identica tattica, e molti, purtroppo, pur con tutte le buone intenzioni, ci cascano.

La cultura ecologica nulla ha a che vedere con questo. La cultura ecologica non è nostalgismo ma pensiero nuovo, che prende il meglio del passato per proiettarlo nel futuro. È un habitat in cui cultura e natura, scienza e valori, io e noi, società e comunità, tecnica e poesia, umanità e resto del vivente sono legati, stretti in relazioni sistemiche. Destinati ad un unico destino.

Guai a fare a meno dello sguardo poetico sul mondo, lo sguardo esistenziale, che dà al mondo il carico di senso, ma guai a fare a meno di quel tesoro che è la scienza, la cognizione di causa, la capacità di ragionare. Aggiungeremmo alla spaventosa crisi ecologica una ancor più spaventosa crisi della logica, rendendo la situazione impossibile.

Il caso di Valencia nel suo dramma purtroppo annunciato (e non dalla serie televisiva spagnola, né dai Simpson) ci dice che:

1) la crisi climatica è un problema enorme;
2) la crisi climatica dipende non dalla geoingegneria, dal cloud seeding, dalle scie chimiche, da “spiegazioni spagnole” varie, ma dall’immissione eccessiva di CO₂ nell’atmosfera e, in aggiunta, dalla crisi della biodiversità;
3) la crisi climatica ha bisogno di risposte tecnologiche, senza le quali non la risolveremo né la mitigheremo;
4) la crisi climatica ha altresì bisogno di risposte naturali: un uso sano del territorio, lo stop all’antropizzazione, una migliore agricoltura, il ripristino e la conservazione degli ecosistemi;
5) la crisi climatica ha bisogno di risposte culturali: se la logica continuerà ad essere quella della crescita, e non di un modo diverso di abitare la Terra, più sostenibile e giusto, non avremo molte speranze;
6) proprio per la sua carica trasformativa, la crisi climatica sarà sempre più oggetto di fake news e negazionismi, scientifici e culturali, che si estenderanno alla crisi della biodiversità (il “Fattore Trump” potenzierà il problema);
7) la cultura ambientalista è chiamata ad un ulteriore salto di qualità in termini di ragionamento, visione, strategie, intelligenza. La partita in atto è cosmica, da far tremare le gambe;
8 ) di questo salto di qualità, la congiunzione di illuminismo e romanticismo è essenziale. È la base.

Noi siamo mente e cuore. Il mondo richiede mente e cuore. Il presente e il futuro richiedono mente e cuore. Ogni progetto che prescinde da uno dei due termini, o da entrambi, per limitarsi a una visione tecnocratica, o a una visione tecnofobica o a chissà cos’altro, è destinato amaramente a fallire.

*Direttore generale LIPU

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